Il sindaco scende dalla vetta alla cittadella cavalcando la sua biga, plastico e bianco come un adone “La recessione è parruccona, la deflazione una bestemmia gufona, ma che obbrobrio la bruttezza, noi amiamo la magnifica bellezza. E ora musica e festa, alziamo i calici sopra la testa (quanto è triste la monnezza!!), fuori tutto dalla finestra, l’Italia se desta!”. È tutto uno splendore che riempie gli occhi e il ventre dei presenti Le bocche sulle brioches, qualche coltello nell’ombra e tra la folla Quando chiunque si scompone immobilizzato da un maleducato terrore, che spinge i presenti alla piazza, ma assenti a loro stessi senza permesso, creando un’imbarazzata indignazione, che crea ulteriore confusione, tanto che Catullo scappa, non vuole amare o odiare più nessuno, ma Platone si è barricato nella sua caverna e non lo lascia entrare. Eraclito si defila perché è tutto un “panta rei os potamos” di vino già versato, mentre Socrate ha perso la sua cicuta e chiede a Orazio se ha da bere del sidro di mele. Ma il banchetto è ormai vuoto e Petronio giace nella sua vasca senza acqua a scrivere un dolce editoriale prima di esalare, mentre Priapo chiede un ultimissimo permesso speciale e fa per entrare, fa per entrare… ed entra! Più non c’è riparo oltre la fortezza! Ed il sindaco è salito sul carro dei bacchici vincitori, la folla gli tributa il giusto e doveroso tripudio È tutto un suono bianco e maestoso che solleva l’intera festa fin dentro la tempesta. Registrato presso il 150 Studio di Uscio (GE) |